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Riccardo Baruzzi

lugo, 1976
Non posso stabilire un procedimento specifico che delinei un ipotetico "big-bang" sul mio "operare"; evito il più possibile di abituarmi a fare le cose alla stessa maniera. Da un lato associo per intuizione immagini, forme, oggetti e suoni presi da qualsiasi contesto, compreso il lavoro di altri artisti. D’altro canto questo "materiale" viene riorganizzato a seconda di diversi eventi: il rapporto temporaneo di colori e forme o la giustapposizione di elementi. Luoghi del mio visitare sono tanto l’antropologico quanto il politico, così come la moda. Ma non mi faccio limitare neanche da queste strategie. Sembra proprio che non ci sia una vera procedura. Alcuni oggetti presi singolarmente non hanno alcuna intenzione narrativa e forse posso dire soltanto che l'atto di giustapporli ad altri elementi rappresenta una specie di intenzionalità; ma anche questa "è una vecchia storia". Io non voglio affatto strabiliare lo spettatore: lo spazio espositivo in cui decido di intervenire diviene un luogo strutturato, un ambiente unitario, le cui parti sono in dialogo costante, ed è per questo che ogni singolo elemento richiede di essere messo in relazione con gli altri e codificato in maniera logica. Posso affermare che il mio modus operandi è profondamente interessato all'artigianato. Gli oggetti obsoleti mi catturano in quanto portano impresse le tracce del loro combattuto processo di creazione, il che coincide con un ritorno all'esperienza del mondo materiale e delle cose. In rapporto alla “cosalità” è l'operazione di appropriazione ad indicare un primo stadio della post-produzione, nel senso che gli oggetti vengono selezionati, modificati o semplicemente intesi fuori del loro contesto originario. Mettere in rapporto dipinti, sculture collages (gli oggetti che ho “costruito”) ad un processo di smaterializzazione (ottenuto attraverso il video, la fotografia e la performance) indica un punto di incontro così come di rottura, un dialogo dove lo spettatore decide sempre e comunque i rapporti. I can't fix a specific proceeding that marks out an hypothetical "big-bang" about my "way of doing things". In fact I try to avoid as much as possible this habit: to do things ever in the same way. On one hand, my work points to combine by intuition images, forms, objects and sounds taken from various contexts (also works of other artists). On the other hand, I join these elements according to different events: the transitory relation between colors and forms or the juxtaposition of materials. Antropology, politics and fashion are the "places" in which I make my visits. However also these strategies can't bind my work. So it's seems that there could not exist any proceeding. Some objects taken apart from the others don't explain any narrative intention. I can only say that the act of objects-juxtaposition has a kind of intentionality; but this is an "old story". I don’t want to astonish the public: every place in which I make an exhibition becomes a deep-structured and well-organized display of subjects, in endless conversation. For this reason the audience must be able to connect and codify every single object from a logical point of view. The handicraft has remarkable importance in reference to my modus operandi. I'm interested in outworn objects because they contain marks of the struggled process of their conception: it involves a return to the experience of the world of the real things. With regard to "thingness", the act of appropriation sketches out the first step of the post-production (in fact, the objects are selected, modified or simply conceived out of their original context. The relation between paintings, sculptures and collages (things that I have “constructed”) and the process of dematerialization (achieved by these means: videos, photography, performances) is both a point of contact and a breaking point, a dialogue in which the audience makes their choice about the relations, ever.

belle arti

2010: No Soul For Sale, Turbine Hall Tate Modern, Londra; Non totalmente immemori, né completamente nudi, a cura di Andrea Bruciati e Eva Comuzzi, Galleria comunale d'arte contemporanea, Monfalcone (GO); One More Reality, a cura di Chiara Agnello, Katia Anguelova e Guillame Mansart, Careof e Documentsdartistes, Milano/Marsiglia; Quando disegno non canto, Palazzo del Commercio, Lugo (RA); Festa Mobile, a cura di Davide Ferri e Antonio Grulli, Bologna. Nel 2009: Il raccolto d'autunno è stato abbondante, a cura di Chiara Agnello e Milovan Farronato, Careof e Viafarini, Fabbrica del Vapore, Milano; Immagine Sottile 03, a cura di Andrea Bruciati, Galleria Comunale d'Arte Contemporanea, Monfalcone (GO). Nel 2008: Allarmi4, a cura di Alberto Zanchetta, Caserma De Cristofori, Como; Hovel, Agenzia04, Bologna; Nel 2007: la mostra Play Graphic, a cura di Silvia Chiarini, Agenzia04, Bologna.

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