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ipnagogia - 2011 
Laura Cionci

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6'37'' 2013

ipnagogia - 2011 
Laura Cionci

ipnagogia - 2011
3'36'' digitale Courtesy dell'artista

IPNAGOGIA Questo suggestivo lavoro di Laura Cionci ha preso la forma di un’installazione, dove il video ha una parte preponderante e potrebbe anche assumere una sua autonomia. Ma è soprattutto l’ambiente a risultare cruciale, non tanto per la comprensione dell’opera in sé, che si offre a diverse interpretazioni tutte collegate tra loro, quanto per la necessità da parte dello spettatore di calarsi in questa realtà sospesa tra il sogno e la veglia. Ipnagogia, pur non essendo un lavoro particolarmente multimediale né tanto meno interattivo, è tuttavia profondamente immersivo, nel senso che chi lo guarda deve lasciarsi andare, farsi ipnotizzare dalla performance compiuta della stessa artista, filmata nell’atto di prendere sonno in una stanza dalla tappezzeria antica, vivendo la dimensione di passaggio tra l’essere svegli e il dormire. Una fase in cui si apre una voragine immensa e in cui Cionci sembra ritornare ad una dimensione mitica e ancestrale. Ecco perché, sul suo volto, si disegna una maschera, un trucco tipico della carnevalesca murga uruguayana. E, anche il sottofondo musicale, ci rimanda alla tradizione di questo paese dell’America Latina, al candombe, un ritmo importato dagli schiavi africani deportati nelle Americhe. La “caduta” in questo stato di allucinazione – che diventa narrazione non-lineare senza inizio né fine, in una struttura a loop in cui, appunto, il momento del sogno (e del sonno) si con-fonde con quello della veglia –, acquista, anche alla luce delle parole dello scrittore Eduardo Galeano (anch’egli uruguayano), molteplici significati: «I corpi abbracciati, cambiano posizione mentre dormiamo, guardando di qua, guardando di la, la tua testa sopra il mio petto...no, no – mi spieghi credendomi sveglia – ancora non siamo là, noi traslochiamo in un altro paese mentre dormiamo». La parola “mudamos”, che deriva comunque da mutare, cambiare, in spagnolo vuol dire andare, essere trasportati. Il viaggio ipnagogico di Laura Cionci, diventa allora un percorso nel tempo e nello spazio. E’ un’esplorazione innanzitutto dentro sé stessa e quindi anche nel proprio essere artista alle prese con l’esperienza della metamorfosi. Ma è anche un transfert verso un’altra cultura, l’universo uruguayano o latinoamericano più in generale, un mondo altro con cui misurarsi e che rappresenta il lato oscuro, l’inconscio sommerso, il rimosso. Una presa di coscienza, anche in quanto occidentale, dei sensi di colpa che ci legano al passato schiavista e colonialista. La dimensione onirica – o meglio quella soglia che ci tiene sospesi tra realtà e produzione onirica e, quindi, anche rappresentazione artistica –, è l’unico momento in cui possiamo perderci, esperire quella condizione di essere altri da sé, come dice Baudrillard. E il gioco dell’identità/alterità coinvolge naturalmente anche il rapporto tra maschile e femminile. Non è un caso che il candombe era appannaggio fino a molto tempo fa solo degli uomini di colore e, fino a pochi anni fa, solo dei maschi. Non poteva insomma essere suonata e praticata dalle donne. La musica, al ritmo della quale l’artista si contorce nei pochi minuti del video, che ha un montaggio incalzante, era una musica rituale identificabile con il mondo maschile. Cionci se ne appropria, in questo suo carnascialesco delirio visivo-concettuale per affermare in fondo anche il suo lato maschile. Il carnevale, lo sappiamo, così come l’arte, rende tutto possibile. E’ un regime di sospensione delle norme che regolano i nostri comportamenti sociali. In Ipnagogia la messa in scena (il video, la performance), si allarga spazialmente. La carta da parati che fa da sfondo alla rappresentazione, prosegue anche sulle pareti della galleria in cui l’opera è esposta. Oltre al’ex-stasis dell’artista, assistiamo anche alla fuoriuscita della narrazione che si prolunga nello spazio espositivo. Lo spettatore può così, se non rivivere, almeno condividere insieme a Cionci quello stato ipnagogico che ha portato l’artista a traslocare in un altro paese e in un’altra epoca. Bruno Di Marino

Direzione montaggio e fotografia: Sofia Karakachoff