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Autoterapia - 2013 
Maurizio Ruggiano

Info su Maurizio Ruggiano

Là “dove finisce l’arte, dove comincia la vita”, sulla sottile linea d’ombra in cui matura la consapevolezza del proprio essere nel mondo, abitano le opere del ciclo Autoterapia di Maurizio Ruggiano. Installazioni, foto, video, arazzi composti da oggetti riciclati, compongono nel linguaggio multiplo della contemporaneità un percorso unitario, dove si riflette ...

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Autoterapia - 2013 
Maurizio Ruggiano

Autoterapia - 2013
6'47'' video Courtesy dell'artista

Sullo schermo scorre un duplice flusso di immagini, a sinistra accelerato come un blob incessante, a destra in tempo reale. A destra l’artista compie il suo rito masticando lentamente i bocconi del “pupo” femminile, mentre la propria storia emotiva attraversa in didascalie essenziali lo schermo come una confessione guaritrice,Se nessuna parola oggi può colmare l’assenza originaria del padre, che ha marcato una frattura relazionale con il mondo, il riconoscimento dell’alterità e quindi della propria individualità passa attraverso un rapporto attivo con il cibo maternale: divorare la madre è al contempo un omaggio e una liberazione. Come ogni movimento nel regime dell’interiorità, l’azione ha infatti un aspetto duplice, contemporaneamente accoglie e distrugge, attivando un processo di trasformazione. Sul piano simbolico, la trasformazione alimentare corrisponde a una trasformazione psichica. Qui, nel video di Maurizio, il discorso si fonda sulla contrapposizione di tempi e spazi, io e mondo: al lento procedere, a destra dello schermo, del rituale cannibalico nello spazio egocentrico dell’io, corrisponde nella metà a sinistra il frenetico scorrere del mondo che cannibalizza ogni giorno la nostra mente. Immagini di corpi, eventi, sesso, lotta, potere, oriente, occidente, tratte dalla cronaca (dal sito web del quotidiano La Repubblica), si accavallano vertiginosamente costringendoci a una visione quasi subliminare. Un flusso continuo, pellicolare e senza scampo che ci costringe nell’angolo della nostra impotenza a comprendere quella storia in cui siamo immersi e dove ogni giorno anneghiamo. Solo l’interferenza di un sentimento, di un’emozione privata, può sospendere e rallentare questo tsunami elettronico, introducendo la dilatazione del tempo soggettivo: un lungo amplesso d’amore oppure quel putto di gesso che gira in tondo sul panorama degli eventi, come un monito e un ricordo. Frammento decontestualizzato di una scultura di Benedetto Civiletti, scultore palermitano dell’Ottocento, l’infante con il braccio rotto, il suo cartellino di identificazione e la sua giostra desolata, è il pendolo che segna un tempo del non ritorno, il tempo forse di un enigma irrisolto. Bolle della memoria come la lunga sequenza di un matrimonio d’antan, quello dei genitori dell’artista, storia familiare tirata fuori dal cassetto, mille volte indagata per carpirne quel segreto da cui trae origine il proprio destino. “Continua” ripete ossessivamente una voce mentre le immagini scorrono senza tregua e nell’altro lato dello schermo l’artista mastica lentamente, a tratti con spavalderia, il suo biscotto sacro e apotropaico. “Continua” dice la voce: incalzante come nell’atto amoroso, ma anche subdola nella sua giaculatoria imperativa, perfino angosciante in quella scansione senza tregua di un tempo e di un comportamento che appaiono coatti come una condanna. Voce d’amante e voce di burattinaio: amore e potere che fanno girare la giostra dell’esistenza, e che spesso paradossalmente coincidono tirando i nostri fili di qua e di là. “Continua” cosa? A guardare l’incomprensibile caleidoscopio del mondo, a fare l’amore, a mangiare il proprio “pupo”? A ricordare, a soffrire, ad anestetizzarti, ad oltrepassare, a rimarginare? “Continua” è l’elemento sonoro che unisce le due metà dello schermo dove è rappresentata la scissione tra spazio/tempo interno ed esterno al soggetto, infine il senso di estraneità e separazione tra il sé e l’altro da sé che Maurizio ha sempre avvertito come conseguenza del trauma e che da sempre cerca di colmare attraverso il ponte dell’arte. Alla fine non resta che l’uovo. Introiettato il corpo maternale, ne resta integro il principio vitale e generatore. Nel museo culturale dell’umanità l’uovo, forma unitaria che basta a se stessa e contiene il germe della vita, è l’immagine dell’essenza del mondo e un antico simbolo di rinascita. Anche nell’altra metà dello schermo si delinea un approdo: la corrente vana di eventi e personaggi finalmente si arresta a un incrocio di strade davanti a un manifesto strappato che sembra una vecchia opera di Rotella, vi si intravede la figura di Gesù e il frammento di una scritta amorosa. Come una bandiera di carta lacera, questa ‘pubblicità’del mistero sacro nelle relazioni divine e umane segna l’asse di un luogo di passaggio, un anonimo crocevia. Senza intenti religiosi o devoti, Maurizio ci suggerisce così soltanto una verità semplice quanto disattesa, che abita nelle pieghe del quotidiano, che non difende dall’affanno ma resiste nonostante gli strappi e le ferite. Forse ingenua, disarmante. L’amore come principio-speranza, unica chiave dell’esserci, là in quella regione incerta “dove finisce l’arte, dove comincia la vita”.

regia - montaggio maurizio ruggiano